Il Lido si sveglia, una brezza salmastra accarezza le tende bianche dei padiglioni. È fine agosto e, come ogni anno, il cinema torna a occupare la sua isola d’oro. La 81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha riacceso il suo proiettore sull’orizzonte del mondo, regalando al pubblico un’edizione che è parsa più una sinfonia che un festival: struggente, sensuale, a tratti inquieta.
Sin dalla sera d’apertura, quando le luci si sono abbassate sulla proiezione di Beetlejuice Beetlejuice, firmata da un Tim Burton più teatrale che gotico, si è capito che non si trattava solo di film. Era un viaggio, un rito, una liturgia condivisa dove i miti e le nuove voci si sono incontrati sotto il cielo veneziano.
Pedro Almodóvar ha incantato la giuria con La stanza accanto, un’opera che ha il sapore dei ricordi e l’odore pungente dei segreti mai confessati. Il Leone d’Oro si è posato su di lui come una piuma meritata, mentre l’applauso in sala superava il minuto, con volti commossi e occhi lucidi.
C’è stato spazio per le emozioni crude in Babygirl, dove Nicole Kidman – divina e vulnerabile – ha mostrato il lato più fragile della sensualità femminile, guadagnandosi la Coppa Volpi come miglior attrice. Dall’altra parte del palco, Vincent Lindon ha dato voce al silenzio in The Quiet Son, una storia muta che ha parlato dritta al cuore.
E poi The Brutalist, diretto da Brady Corbet, che ha strappato il premio per la miglior regia. Un film geometrico e disturbante, come le architetture di cemento che racconta, in cui la fotografia ha scolpito emozioni tra luci fredde e abissi d’anima.
Tra le sorprese più poetiche, l’Italia ha brillato con Vermiglio di Maura Delpero, delicato e feroce al tempo stesso. Un affresco di femminilità e resistenza tra le pieghe della provincia, premiato con il Gran Premio della Giuria.
Ma la Mostra non è solo pellicole. È il tappeto rosso che scricchiola sotto i passi di George Clooney e Angelina Jolie. È lo sguardo magnetico di Cate Blanchett, l’eleganza lunare di Tilda Swinton, le notti che odorano di cinema e sigarette elettroniche, tra brindisi in terrazza e discussioni in coda alle proiezioni.
Sul palco dei premi, un omaggio a chi ha fatto la storia: Sigourney Weaver, icona della forza femminile, ha ricevuto il Leone alla carriera con la stessa compostezza con cui affrontava gli alieni, mentre il regista Peter Weir ha ringraziato Venezia per essere “il luogo dove il sogno trova il coraggio di esistere”.
Fuori, nel mondo, il dibattito non tace. Alcune voci si sono alzate, nette, contro scelte geopolitiche scomode, ricordando che il cinema è anche posizione, responsabilità, sguardo etico. La Mostra si è dimostrata ancora una volta viva, presente, attuale.
E mentre l’ultimo applauso si spegne, resta nell’aria quella sensazione difficile da spiegare: come se, per undici giorni, il Lido avesse respirato insieme al mondo intero, unendolo nel buio caldo di una sala, dove tutto può ancora succedere.
E Venezia, come sempre, ha raccontato. Con grazia, con coraggio. Con la luce tremolante di un proiettore che non vuole mai spegnersi.