La Cantina Fasoli Gino si regala un Rosso speciale e un futuro a base di autoproduzione energetica al 100%

La Cantina Fasoli Gino si regala un Rosso speciale e un futuro a base di autoproduzione energetica al 100%

Traguardo storico per l’azienda veronese, apripista delle tecniche «bio» e sempre rivolta al domani tra vini Piwi e produzioni biodinamiche

Cent’anni fra i vitigni di cui quasi la metà trascorsi nel mondo del vino biologico. «In principio fu un’allergia agli agenti chimici. Da lì inaugurammo un nuovo percorso che tuttora ci detta il cammino. Perché quando il passato ti dà etica, non è più passato ma è futuro». È l’idea che accompagna la Cantina Fasoli Gino nel celebrare il centenario con un nuovo Rosso speciale, un «best of» della propria produzione presentato a operatori ed esperti del settore durante l’evento esclusivo al Teatro Ristori di Verona.

Intitolata «Vite per il Vino», la serata è dedicata a un secolo di storia famigliare e programmata nella cornice del 57esimo Vinitaly. «Il vino dei cent’anni non è che la summa di tutti i nostri rossi a mono-vitigno», così Natalino e Matteo Fasoli, terza e quarta generazione dell’azienda nata nel 1925 a Colognola ai Colli, nell’est veronese della Val d’Illasi.

Una realtà d’eccellenza pioniera del settore biologico già dal 1986, sperimentatrice del metodo biodinamico a partire dal 2006 e oggi proiettata, grazie anche all’investimento sui vini Piwi e la riduzione dell’uso del gasolio, verso un orizzonte ad alto tasso di sostenibilità: «Nel giro di due anni raggiungeremo l’autonomia energetica fra pannelli fotovoltaici, recupero del calore prodotto dai macchinari quale nuova fonte per riscaldare gli uffici e riutilizzo dell’acqua piovana».

Un sorso lungo un secolo

In occasione del centenario la Cantina Fasoli Gino ha raccontato al Ristori i suoi Cru più rappresentativi, secondo un viaggio nella storia che prende il via da quella prima fattura di vendita al parroco del paese, datata 1925, quando il fondatore Amadio Fasoli consegnava personalmente le damigiane alle migliori osterie locali, e che arriva al più recente bilancio dell’export con i 91 mercati internazionali raggiunti, dalla Svizzera al Giappone e dalla Germania al Canada passando per gli Stati Uniti. «Dai nostri 100 ettari, fra le altre cose, escono vini rossi dalla personalità unica a livello internazionale, belli da gustare e da vedere, capaci di restituirci un’immagine elevata», dice Natalino Fasoli.

La Cantina Fasoli Gino ha portato al Ristori di Verona i suoi Cru più rappresentativi

Il Rosso del centenario è «il meglio del meglio, una sintesi apicale dei nostri Merlot, Corvina, Corvinone, Cabernet e Pinot Nero. Se quei rossi sono come una famiglia, mi piace pensare di aver messo insieme tanti “figli” sino a rappresentarne uno che esalta in sé tutte le loro differenti qualità». Un vino che, frutto di una scelta ispirata dalle migliori uve, «rimanda a «una complessità, un’unione e una pienezza uniche nel loro genere».

Il Primo raccolto legato ai vini Piwi

Nel 2026 la Cantina Fasoli Gino, che tra le quasi 600mila bottiglie l’anno produce vini certificati biologici e vegani, dunque adatti alle diete Vegan, effettuerà pure il primo raccolto legato ai vini Piwi, il cui nome deriva dal termine tedesco «pilzwiderstandfähig», espressione che indica la capacità di resistenza ai funghi. L’azienda ha investito quattro ettari in questo tipo di viticoltura che, di per sé, «permette di abbattere i consumi di rame, già per altro in quantità medio-bassa nei nostri vitigni, e di risparmiare sul consumo di gasolio, grazie al numero di interventi che cala di tre volte».

Secondo Natalino Fasoli, «potrebbe trattarsi di una novità importante per il biologico poiché tutto si basa su una selezione da semi, senza organismi Ogm coinvolti». I vini Piwi, insomma, «sono destinati a entrare sul mercato come vini da tavola ma dotati di una propria identità». Parliamo di «vini dal minor impatto ambientale, che se lavorati bene potranno essere comparati agli altri, che si tratti di bianchi o di rossi».

Sostenibilità: quando quella parola è davvero «coltivata»

Intanto il percorso di sostenibilità dell’azienda, avviato nel 1986 tra antiche conoscenze contadine e approcci che aumentano la vitalità delle piante sanando l’equilibrio perso con le coltivazioni intensive, è diventato una bussola rispetto a quelle «abitudini consumistiche che insegnano soltanto a prendere, utilizzare e abbandonare».

La Cantina Fasoli Gino ha fissato un’asticella per cui «entro un paio d’anni saremo autonomi nell’autoproduzione dell’energia». All’impianto fotovoltaico della potenza di 99 kW già installato seguiranno ulteriori investimenti per arrivare a 200 Kw totali. Inoltre, sarà avviato un processo di recupero del calore, quello prodotto dai macchinari d’imbottigliamento e produzione, che in ottica circolare andrà ad alimentare il riscaldamento degli uffici e la produzione di acqua calda di lavaggio.

Già oggi, poi, l’azienda recupera fra i tre e quattro mila metri cubi d’acqua piovana, il cui 80 per cento è riutilizzato per l’irrigazione e altri consumi, vedi il lavaggio delle bottiglie. «Un’altra implementazione della sostenibilità deriverà dai nuovi macchinari futuristici che introdurremo in azienda e che saranno gestiti da una centralina per avere un consumo controllato, ad esempio riducendo proprio il quantitativo d’acqua necessario».

Ma nell’agenda figurano anche scelte come l’estensione dell’uso del vetro leggero per il packaging, dove si utilizza già carta 100% riciclata, e valutazioni come l’eliminazione delle capsule dai prodotti che lo consentono. Lo scenario è quello di «un’etica presente su tutta la filiera», dicono Natalino e Matteo Fasoli. La Cantina Fasoli Gino è giunta alla seconda edizione del Bilancio di sostenibilità. Nel documento si evidenzia l’impegno pionieristico di Fasoli Gino nel settore vitivinicolo sostenibile, con particolare attenzione alla certificazione Equalitas, che valuta aspetti ambientali, sociali ed economici.

Il vino dei cento anni

Realizzato da uve appassite raccolte a mano, il vino dei cento anni è un grande rosso, nato dall’incontro tra Corvina, Corvinone, Merlot, Pinot Nero e Cabernet Sauvignon. Le viti affondano le radici in suoli argillosi, calcarei e sassosi, coltivate secondo i metodi della pergola corta veronese e del Guyot. Ogni varietà affina separatamente in botti di rovere per un lungo periodo, tra i 36 e i 48 mesi, per poi unirsi in un equilibrio armonico di forza e profondità. Gradazione alcolica: 17%.
Ideale in abbinamento a carni rosse, selvaggina e formaggi stagionati, è perfetto anche da solo, a fine pasto, da assaporare lentamente in un calice ballon.