Chi è veneziano o veneto lo conosce. Ma appena si esce dai confini di regione, sono in molti a non usare il termine o addirittura a ignorarne il significato: si tratta della parola bàcaro, col suo diminutivo bacaréto.
L’origine della parola, secondo alcuni è nel nome del dio del vino Bacco che sia presso i Greci che presso i Romani era venerato come protettore della vite e della bevanda inebriante che ne deriva. Origine nobile quindi.
Altri invece sospettano una derivazione diversa e più vicina al parlato e alle espressioni tipiche della lingua veneta. Pare infatti ricollegabile all’espressione “far bàcara“, che indica “festeggiare” o comunque fare confusione per un’occasione festosa.
Con “bacaro” un tempo si intendeva una figura ben nota ai contadini della nostra regione cioè il vignaiolo e il vinaio. Egli raggiungeva Piazza San Marco a Venezia per vendere vino attingendolo da un barilotto. Vi affiancava poi piccoli spuntini golosi. Gli avventori erano pescatori, lavoratori in pausa, semplici passanti attratti dalla bevanda di Bacco.
Naturalmente il “bacaro” si posizionava all’ombra del campanile in modo da mantenere più freschi i suoi prodotti. Sarebbe questa l’origine del nome “ombra” che i Veneti usano ancora oggi quando in un’osteria o in un bar vogliono ordinare un bicchiere di vino.
Dalla piazza il bacaro è passato poi a depositare i suoi prodotti in una bottega ovverossia un bacaro per l’appunto.
Un’altra etimologia riporta che “Bàcaro” sarebbe stato il vino duro, scuro ed amaro che i Pugliesi portarono in Veneto – dopo il 1866, l’anno dell’ “annessione” del Veneto all’Italia – per tagliare il vino dei vigneti autoctoni, troppo leggero e poco strutturato.
I “bacari” e le “malvasie” erano i due locali in cui si mescevano i due tipi differenti di vino. La “malvasia”, era un prodotto di pregio, che da secoli giungeva a Venezia in particolare dalla Grecia.
Cosa possiamo mangiare in un bacaro? Un po’ di tutto e la scelta è molto varia. Si va dal pesce ai salumi alla carne. Possono essere assaggi semplici o molto lavorati e complessi, con salse varie e intingoli. Tra i cicheti più ricorrenti vi sono i crostini di baccalà mantecato, le alici marinate, il misto mare o i “folpetti” in umido.
Alcuni sono a base di pane altri sono fritti: dal baccalà alle sarde alle verdure impanate. Quando entriamo in un bacaro potremmo non trovare posto e esser costretti a consumare in piedi. Facciamocene una ragione perché è proprio questo il senso del bacaro: una tappa breve e veloce.
Se proprio desideriamo sederci e consumare con calma i cicheti e il vinello giusto da abbinare, scegliamo un bacaro che abbia lo spazio adatto e che segua il distanziamento in base alla normativa antiCovid. Il vero bacaro è caratterizzato da pochi posti a sedere e da un lungo bancone vetrinato in cui sono esposti i prodotti in vendita.
Ma abbassiamoci la mascherina e per un attimo abbandoniamo ogni preoccupazione bevendoci la giusta ombra di vino, sia esso rosso o come si dice da queste parti, biancheto, cioè un vino bianco leggero.
Oggigiorno col termine cichetto possiamo rivolgerci a un barista londinese come a un gestore di bistrot parigino: la parola è divenuta internazionale a partire dal 2010. All’estero il cichetto è spesso abbinato all’aperitivo. Anche in Italia negli ultimi anni è sorta la moda di prendere l’aperitivo, magari “rinforzato”, e di sostituirlo alla cena. E’ nato anche il nome apericena che prevede un aperitivo alcoolico o analcoolico da bere dopo aver preparato il “fondo” con stuzzichini a base di pesce o carne o verdure. Olive e patatine naturalmente a volontà.
Luoghi simili al bacaro dove fare una consumazione veloce si trovano anche in altre parti d’Europa o in genere nei paesi mediterranei. Vi si possono consumare i cicheti che assumono nomi differenti quale tapas nella Spagna centrale o pincho nel nord della stessa penisola iberica.
E le calorie? Non dobbiamo proprio pensarci. Sono molte, anzi moltissime… così come il carico di lavoro per il fegato. Concediamoci una sosta al bacaro con moderazione e senza esagerare.