TSV: "Spettri" da applausi

TSV: "Spettri" da applausi

Una catarsi quella che si prova a vedere lo spettacolo “Spettri” di Henrik Ibsen con la regia di Rimas Tuminas e la produzione del Teatro Stabile del Veneto. E questo avviene nel senso aristotelico della parola: per cui lo spettatore sublima i propri dolori in quelli dei protagonisti sulla scena. Se i personaggi vivono le loro storie fatte di drammi e peccati familiari, il pubblico resta incantato a scoprirne le cause, i motivi, le corrispondenze.

Spettri (il cui titolo originale è Gengångare) risale al 1881; rappresenta una delle opere teatrali più significative di Ibsen ed è considerato una commedia sociale o, più propriamente, un dramma borghese. Gli ‘spettri’ sono le ombre del passato che colpiscono il dramma esistenziale dei protagonisti e sono una fin troppo chiara critica nei confronti della borghesia del tempo e, forse, della borghesia di sempre.

Una storia plurale quella che il dramma immortala sulla scena: con Helene, una vedova-madre possessiva, Osvald, un figlio pittore fallito nella Parigi bohémienne, l’affascinante giovane domestica, Regine, e ancora Engstrand, da tutti creduto il vero padre della ragazza e il pastore Manders, vecchia fiamma della signora Alving.


Le illusioni iniziali, che si giocano nell’esordio in dialoghi pacati, quasi lenti e pianamente cadenzati, si trasformano a poco a poco in crudeli verità. I 90 minuti a cui la sapiente regia ha ridotto i tre atti originari dell’opera incollano lo spettatore alla poltrona; si resta ammaliati in particolare dalle scene di movimento che si fanno più frequenti nel procedere della narrazione. Un enorme specchio domina lo sfondo: parte del pubblico vi può ritrovare la propria sagoma in un gioco teatrale di simboli e richiami. ll suo dondolio prima leggero si fa ritmo vorticoso all’unisono con la gioiosa vivacità della coppia Osvald- Regine e delle danze che i due intrecciano in tutto il palcoscenico. Ma il crescendo del movimento a metà dell’opera diviene delirio cinetico nell’oscillazione sempre più forte dello specchio. Così come il sentimento puro d’amore di Osvald si fa pazzia e schizofrenica depressione. E’ la stessa patologia del padre, grande assente della scena, come ha voluto l’autore norvegese, ma a cui sempre si fa riferimento.


Su tutto domina una nebbia continua, che avvolge i personaggi e sfuma i contorni della scena così come quelli della vita dei protagonisti.

Nel dramma molteplice e sfaccettato, manca forse in questa regia la giusta attenzione alla storia dell’asilo intitolato al capitano Alving e al suo fortuito incendio: se ne attende all’inizio dell’opera l’inaugurazione e poi, però se ne perdono le tracce, la microstoria si estingue fagocitata dai sentimenti della giovane coppia e dal sacrificio di Helene, la madre. Lei vorrebbe salvare le apparenze, senza farsi coinvolgere nella loro rete. Così, alla fine, nel dubbio se somministrare al figlio la morfina, come lui le chiede, decide di rinunciarvi. E’ allora che cala il sipario e il dramma ha fine.


Gli attori, tutti, sono di alto profilo, professionisti della parola e del gesto teatrale, evidentemente ben guidati dal regista lituano che vanta tra le sue maggiori produzioni “Eugene Onegin”, “Zio Vanya” e “Masquerade”. Tenera e quasi ingenua nei toni e nelle movenze ben misurate la dolce Regine, interpretata da Eleonora Panizzo. Ottima l’interpretazione del giovane Gianluca Merolli, che nei panni di Osvald va alla disperata ricerca della felicità e di un bagliore di vita serena. Sempre bravi i due attori di lunga esperienza Fabio Sartor e Giancarlo Previati, rispettivamente nei ruoli del pastore Manders e di Jakob Engstrand.


Ma è Andrea Jonasson la primadonna della compagnia che ritorna sulle scene italiane dopo alcuni anni. L’attrice, tedesca di nascita, conobbe nel 1973 il regista teatrale Giorgio Strehler e lo sposò poi nel 1981: da allora, divenuta nel frattempo prima attrice del Burgtheater di Vienna, ha diviso la sua carriera artistica, recitando sia in lingua tedesca che italiana, a Vienna e a Milano, al Piccolo, diretto dal marito. Sul palco la Jonasson mostra la sua grande presenza scenica, nel corpo avvolto di seta verde su cui spicca la chioma abbondante di capelli rossi. Le sue battute lucide e asciutte, a volte sfociano in toni di profonda intensità e necessaria durezza.

La pièce merita tutti gli applausi più volte replicati, indice chiaro di un pubblico pienamente soddisfatto.