Ieri a Mirano, in provincia di Venezia, si è rinnovato il celebre spettacolo del Zogo dell’oca (Gioco dell’oca) che ha visto la sua prima edizione nel lontano 1998, grazie alla brillante idea della Pro Loco comunale.
Tra costumi di inizio secolo XX, giochi d’epoca e intrattenimenti vari quali vecchi mestieranti, giostrai e artisti di strada, si è celebrato il rito del gioco che tutti noi abbiamo conosciuti da bambini. Un gioco con i dadi ma non certo d’azzardo, adatto a grandi e piccini.
Sulla piazza Martiri della Libertà, accanto al monumento ai Caduti dello scultore bellunese Murer campeggia un’oca lignea gigantesca attorno alla quale si snoda il circuito del gioco. Figuranti in abiti di inizio Novecento fanno da contorno, mentre le contrade in gara ovvero Mirano, Ballò, Campocroce, Scaltenigo, Vetrego e Zianigo partecipano al gioco: ci sono prove da superare come la corsa coi sacchi, prove di equilibrio e gare di prontezza e velocità. Il rischio è quello di capitare nella casella “torna alla partenza”.
In tal caso, la meta del traguardo dopo le 63 caselle si fa sempre più lontana. Il pubblico si affolla sia sulle tribune sia attorno alla pista naturalmente messa in sicurezza da transenne. Spesso applaude e fa la Ola. Scaltenigo trionfa tra gli applausi del pubblico. “Che giornata!” ha commentato il presentatore sintetizzando l’entusiasmo dei partecipanti e del pubblico.
La “Fiera de l’Oca e il Zogo de l’oca de Miran” si confermano come un’eccellenza a livello regionale e nazionale: la ricorrenza è quella del giorno di San Martino (11 novembre) data che segnava la fine dell’annata agricola e l’avvio della stagione invernale. Un proverbio è ben stampato su una delle bancarelle di prodotti tipici a base di oca: “chi no magna l’oca a San Martin, no fa el beco de un quatrin” (chi non mangia l’oca nel giorno di San Martino, non farà nemmeno un quattrino).
All’interno della festa alcuni spazi di Mirano sono stati adibiti a mostre e eventi collaterali al tema dell’oca. Presso la Villa Giustinian Morosini a pochi passi dal centro, con il patrocinio del Comune di Mirano e della Regione del Veneto, si è chiusa proprio ieri domenica 10 novembre la mostra “Il Tabarro. Artigianalità dal passato al presente. Il cinquantesimo del Tabarro di Sandro Zara”.
Al suo interno manichini storici con tabarri di varie fogge, tessuti e lane di diversa provenienza e qualità. In una sala laterale articoli di giornale e foto storiche sul tabarro. Nelle altre cinque sale altri elementi per ricostruire la storia del capo di abbigliamento dei contadini di un tempo. Mantello che è stato un elemento identitario per il Miranese come per tutta la Pianura Padana.
La storia di questo indumento è scandita dal successo dell’imprenditore miranese Sandro Zara. Dopo gli esordi cinquant’anni fa ha diffuso il tabarro in tutto il mondo come testimoniano i bellissimi video in mostra al primo piano. Zara produce tabarri dal 1974, mettendo insieme passione, professionalità e spirito imprenditoriale. Ingredienti tipici del Veneto che ha successo nel mondo. Immancabile però l’amore per la tradizione e il passato, percepibili nella sartorialità della produzione.
All’epoca della fondazione della sua ditta andavano di moda l’eskimo e soprattutto c’era tanta plastica invece la produzione del tabarro puntava e punta alla tradizione dei tessuti naturali, che quindi seguono le nuove norme della sostenibilità. Presente anche la Confraternita dei Nostalgici del tabar di Sant’Antonio Abate che a Zara hanno consegnato un mini tabarro (tabarin) con l’immagine del loro santo protettore. La confraternita ha sede a Concamarise (VR) ed è attiva dal 2025. Una delle varie confraternite che mantengono la tradizione del tabarro accanto a quella dei nostri piatti contadini.
Il tabarro: un capo di abbigliamento nato nelle fredde campagne per ripararsi dal freddo, dal vento e dalla pioggia. I più poveri ne avevano uno solo per tutta la vita anche se logoro e consunto. Solo chi se lo poteva permettere aveva una fodera a quadrotti o rombi. I più lussuosi addirittura il pelo di coniglio o di talpa.
Una storia interessante da far conoscere soprattutto alle generazioni più giovani, così che possano mantenere vive le tradizioni dei nonni e dei padri.