Quarantena: una parola con cui ci stanno bombardando i media, i tigì, persino il vicino di casa, il marito sdraiato in divano, i figli in cameretta davanti al PC, la mamma chiusa in cucina. Per i pochi che ancora non lo sapessero, indica i quaranta giorni del tempo massimo utile per superare la fase acuta di ogni malattia, senza ulteriore possibilità di contagio.
Il termine ci riporta a Venezia, al nostro prezioso capoluogo di regione, perché la prima, storica decisione di isolare un gruppo di persone per provare a debellare una malattia infettiva, venne presa il 27 luglio 1377 proprio nella città dalmata di Ragusa, l’attuale Dubrovnik. E Ragusa era sotto il dominio della Serenissima, almeno fin dalla IV Crociata (1204). Nel 1358 ottenne l’indipendenza, dopo aver preso da Venezia il proprio assetto istituzionale di Repubblica Marinara.
“Non ragusate!”, urlava Napoleone a Marmont, il generale che nel 1808 pose fine all’indipendenza di Dubrovnik che poi sarebbe stata annessa al Regno d’Italia napoleonico e successivamente alle Province Illiriche. Il neologismo di Bonaparte indicava l’attitudine storica dei nobili ragusani di spaccare il capello in quattro, di cavillare e trovare continue scappatoie ad ogni impasse.
Un difetto perdonabile, visto che Ragusa fu il primo stato d’Europa, nel 1301, ad assicurare per legge un servizio sanitario gratuito per tutti i suoi cittadini, di qualunque condizione sociale. Ragusa, durante le pestilenze e le epidemie, cercava medici ovunque. E li pagava bene. Nel Duecento la maggior parte dei physici e dei cerusici veniva reclutata a Venezia, nel Regno di Napoli, nella Marca e molti medici provenivano dalle quotate università di Bologna e di Padova. Tuttavia, fino ai primi decenni del XIV secolo, il ruolo di ufficiale medico rimase appannaggio quasi esclusivo dei salernitani, eredi della prima e più importante tradizione medica d’Europa.
Nell’annus horribilis del 1347 si diffuse la temutissima Peste Nera: essa sterminò oltre 30 milioni di persone, più o meno un terzo della popolazione europea. A Ragusa si usava confinare gli ammalati di peste per almeno quattro settimane: venivano lasciati su isolotti lontani dalla città. In origine il mese di isolamento era chiamato “trentino”. Poi nel XV secolo Venezia lo prolungò a quaranta giorni che anche nel dialetto veneto di allora diventò quarantena.
Perché proprio quaranta giorni? Fu un’idea di Ippocrate, il medico greco fondatore della medicina scientifica.
Quaranta: un numero simbolico anche per gli astronomi babilonesi che associavano il tempo delle quattro decadi tra i mesi di aprile e di maggio alle temute inondazioni del Tigri e dell’Eufrate. Nella cultura ebraica quaranta anni era il tempo di una generazione. Il popolo ebraico vagò nel deserto per 40 lunghi anni prima di raggiungere la Terra promessa. Quaranta anni fu la durata della punizione dell’Egitto (Ezechiele 29). Isacco scelse di attendere quaranta anni prima di costruire la sua famiglia. E i maschi potevano iniziare lo studio della Kabbalah solo se avevano compiuto i 40 anni. Quaranta giorni era il periodo della penitenza e della purificazione. Quasi una morte, capace però di anticipare una rinascita. Il diluvio universale, ricorda l’Antico Testamento, durò 40 giorni e 40 notti. E Noè ne attese altri 40 prima di uscire dall’arca (Genesi 6 – 9). Mosè restò sul monte Sinai 40 giorni e 40 notti (Esodo 24) prima di ricevere le “dieci parole” di Dio. Golia sfidò Israele per 40 giorni di seguito prima d’essere atterrato dalla provvidenziale fionda di Davide (1 Samuele 17). E anche Elia camminò per 40 giorni e 40 notti fino all’altura dell’Oreb, l’altro nome del Sinai, dove Dio gli parlò in forma di leggera brezza (1Re 19). Il profeta Giona ammoniva: “Ancora 40 giorni e Ninive sarà distrutta”. Gesù rimase a digiunare nel deserto per quaranta giorni. E ascese al cielo quaranta giorni dopo la resurrezione. Nella liturgia cristiana la Quaresima che dura quaranta giorni, è il tempo particolare di preparazione alla Pasqua che serve a favorire un cammino di rinnovamento spirituale. Quaranta era il numero perfetto anche secondo Sant’Agostino.
E ancora a Venezia si lega il nome di Lazzaretto: era il luogo deputato ad accogliere i malati contagiosi. Risale al 1423 quando gli equipaggi delle navi che provenivano dalle zone infette furono costretti dai Veneziani a una sosta obbligata nell’isola di Santa Maria di Nazareth. Quel luogo, chiamato nazaretto, per assonanza con il nome di Lazzaro, risuscitato da Gesù e patrono degli appestati, diventò lazzaretto.
A Venezia sono visibili due ex Lazzaretti, quello Vecchio che è un’isola della laguna situata molto vicino alla costa ovest del lido di Venezia. Fu abitata inizialmente dai Padri Eremitani, che vi avevano eretto una chiesa consacrata a Santa Maria di Nazareth ed un ricovero per i pellegrini che andavano o tornavano dalla Terrasanta (1249). Dal 1468, l’isola riceveva gli ammalati che, sospettati di essere contagiati, erano stati visitati nella nuova costruzione del Lazzaretto Nuovo. Questo invece si trova in un’area posta all’inizio del canale di Sant’Erasmo. Monastero benedettino durante il Medioevo, nel 1468, per decreto del Senato, divenne lazzaretto con compiti di prevenzione dei contagi: ospitava i magazzini che servivano per esaminare le merci sospettate di essere infettate dalla peste. Con l’epidemia del 1576 una sorte simile toccò alle persone: se la visita diagnosticava la malattia, il malato veniva subito trasferito presso l’ospedale di Lazzaretto Vecchio.
Lazzaretto Vecchio e Nuovo secondo un progetto di restauro e recupero dovrebbero costituire due tappe importanti del Museo Nazionale di archeologia della Laguna e della Città di Venezia. Ci auguriamo di poterlo visitare presto assieme a molti altri turisti italiani e stranieri.
Leave a comment