Se ne parla in molti settori, specialmente in quello dell’alimentazione e dell’enogastronomico: bisogna tornare alla vecchie sane abitudini, meglio evitare lo spreco, non buttare, ma riciclare come si faceva un tempo, non mangiare cibo spazzatura o esotico, ma consumare prodotti a km zero, niente bibite zuccherine ma centrifughe e succhi naturali. Siti e social network ci propongono tanti articoli e video sul cibo spazzatura, sui veleni del fast food, sul vino adulterato o le bombe chimiche delle bevande zuccherine. Si fa terrore su tutto e il consumatore non sa più cosa mangiare. Chi vuol seguire una dieta sana certo non frequenta i fast food e privilegia il “Km zero” o la “filiera corta”: tutti termini che ci inducono a scelte più “bio” e a maggior grado di salubrità.
Scartato lo street food e il fast food, non restano che le care e vecchie trattorie ora tornate in voga. Sono diffuse in tutto il nostro stivale, dal Trentino alla Sicilia, dal Friuli alla Sardegna. Ma è fuor di dubbio che il vero paradiso delle trattorie è qui in Veneto. La tradizione veneta del mangiare in osteria o trattoria è infatti molto antica e risale alla dominazione romana: ospitalità e accoglienza è sempre stato nello stile dei Veneti antichi che nelle stationes o mansiones o nelle tabernae ospitavano viandanti, passeggeri e mercanti. Nei secoli poi l’abitudine alla ospitalità e convivialità si è consolidata, come testimonia tanta letteratura del nostro territorio: quante osterie e locande ricordate dal Casanova nella sua autobiografia, come dimenticare l’osteria di Mirandolina, eroica protagonista de “La locandiera” del veneziano Carlo Goldoni. E i sonetti di Giorgio Baffo che coniugano belle donne e buon cibo in un trionfo di piaceri e sensualità (“Me lambico el cervelo zorno e note / Per far soneti grassi e butirosi, / Per divertir le done e i so’ morosi“)?
Solo per citarne alcuni. Ogni più piccolo paese della nostra terra veneta ha una trattoria: di solito con nomi ruspanti e folkloristici come “Da Nane”, “Dalla Giulia”, magari in ricordo di un ex proprietario/a o di un antenato che la fondò, “Al cacciatore”, punto strategico di sosta prima o dopo la caccia con un menù ricco di selvaggina, “Alla busa”, perché ubicata sotto un argine o sotto la “strada alta” con cui in Veneto spesso intendiamo la strada principale o più semplicemente “Antica trattoria” se il locale può vantare almeno una settantina d’anni di apertura.
Se poi si conosce personalmente il gestore o il proprietario (spesso coincidono) allora il gioco è fatto: ci accomodiamo sulle care vecchie sedie impagliate e non su troni plastificati e cominciamo una piacevole conversazione “alla veneta” con santi e politici annessi. Spesso il menù è del giorno e in cucina c’è sempre quello della tradizione: trippa casalinga, baccalà, seppie con polenta, fegato alla Veneziana, gnocchi fatti in casa, un risotto con le “secoe” e via dicendo.
La cucina delle nostre nonne profuma di ottimi aromi e ha il gusto del passato: oggi invece cibi preconfezionati e surgelati la fanno da padroni e spesso anche i migliori ristoranti servono piatti precotti. Si fa prima! Sì, ma si fa peggio! Pastasciutte super condite al glutammato o con esaltatore di sapidità, riso o affini liofilizzato e tutti quei cibi raccolti sotto la definizione di cosiddetto junk food: alimenti poveri di vitamine, antiossidanti, acidi grassi essenziali e di altri elementi nutrizionali importanti, ricchi di colesterolo, glucidi raffinati, sale da cucina, grassi saturi. Un cibo che è quindi fortemente calorico, ma che non fornisce gli elementi nutritivi essenziali per una dieta equilibrata. Non è questo che vogliamo per noi e per i nostri figli!
Nella cara e amata trattoria, invece, è tutto sano. Ognuna poi si specializza in un buon piatto tipico veneto. Per le giovani generazioni che non conoscono la cucina degli avi, ecco un’occasione per imparare e istruirsi ai vecchi gusti di un tempo: trionfa su tutti il “capone in tecia” tipico del periodo natalizio, o una “sopa” di trippa sempre nel periodo invernale, il “pollo in umido” che va bene per tutte le stagioni, “ganasete in tecia” che vanno bene sia con il fresco sia con il caldo, “cape sante” richiestissime tutto l’anno, sarde, moscardini, canestrelli per ogni momento in cui vogliamo assaporare qualcosa di gustoso. Questo solo per citare la carne e il pesce; ci son poi tutte le paste in brodo e asciutte, i risotti, gli gnocchi, le zuppe di fagioli, di ceci, di lenticchie, di cipolla, di papate …per non parlare dei dolci tipici veneti: la fregolotta, la torta della nonna, i galani e le frittelle, le castagnole, la pinza e poi ancora il pandoro, il tiramisù, i pevarini, i ruffioli…e la mostarda… l’elenco sarebbe lungo.
E se si parla di vini? La scelta è molteplice, ma la caratteristica che più spicca è che in trattoria è che il vino è bianco o rosso ( o “nero” come si diceva e si dice ancora qui in Veneto) e di solito il trattore ci consiglia bene senza tanti preamboli, sull’eleganza, sul retrogusto, sul carattere o sul profumo. Ci dà un buon bianco con il pesce o con il dolce e un rosso più robusto, ma mai violento per le carni o i primi più “solidi”. E non ci sono pile di bicchieri che si ergono sul tavolo a separarci dai nostri commensali; due bicchieri semplici e puliti di fattura tradizionale bastano a fare di un buon pranzo o cena un momento di vera gioia.
E poi il contesto: non luci soffuse o musica new age, ma la luce del giorno e non design avveniristico, ma la cara, vecchia parete candida con qualche cara vecchia foto di primo Novecento o dei nonni, non lettori ottici per ordinare, ma carta e penna. Siete vecchi e demodé dicono alcuni in vena di modernità: eppure il cibo della tradizione è quello consigliato dagli esperti nutrizionisti con gli ingredienti sani e le ricette della dieta contadina di un tempo. Oggi alcuni piatti sono un po’ alleggeriti e senza i ricchi condimenti di un tempo, sì da accontentare anche i clienti in odore di dieta ipocalorica o che seguono regime alimentari particolari: iposodico, vegetariano, vegano. Alcune trattorie si sono adattate alla nuova clientela e alle varie esigenze: basta digitare “dove mangiare vegetariano/vegano” in Google e esce un elenco fitto fitto di nomi e posti, suddivisi per regione e provincia, dalle Dolomiti ai Nebrodi, dal Monviso all’Etna. Noi preferiamo frequentare le trattorie della tradizione ma oggi il mercato offre davvero menù per tutti i palati.
E l’accoglienza? Non è quella fredda di alcuni locali pseudo-eleganti in cui siamo accompagnati al tavolo da un cameriere troppo gentile e fintamente affettato, ma ci accoglie un signore dal sorriso sincero e che ci mette subito a nostro agio con una battuta sul tempo (fa troppo freddo o troppo caldo, o piove, o nevica!) o che ci dà il benvenuto riconoscendoci e facendoci sentire come a casa nostra. E poi: impagabile la libertà di scegliere il piatto che si vuole, lontani da ogni obbligo del menù del giorno. Addirittura liberi di scegliere un solo piatto o un primo o un secondo senza che nessuno si offenda o si senta depauperato di qualcosa.
Raccomandiamo un passaggio in una delle tante trattorie qui in Veneto: si può cominciare da Venezia e provincia con la trattoria Da Romano, a Burano, o la Busa alla Torre di Murano, Roma a Meolo, Nalin a Mira, Ai assassini proprio in sestiere San Marco, passando poi per la provincia trevigiana con Menegaldo, a Monastier, Schiavon a Falzè, Al Castelletto da Clemi a Pedeguarda, approdando poi a Padova presso il Pedrocchino di Campodoro, Ballotta a Torreglia e nel rodigino presso la Trattoria Arcadia di Porto Tolle.
C’è solo l’imbarazzo della scelta: e, naturalmente …buon appetito a tutti!
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