L’avventura cinematografica del talentuoso regista Max Menghini, 43 anni, originario di Monselice (Padova) inizia quest’anno nel migliore dei modi. Grazie alla collaborazione con l’attore ‒ nonché protagonista del film ‒ Alex Nardelli, il successo mediatico ottenuto con il cortometraggio Rebecca gli èvalso una “statuetta” al prestigioso concorso organizzato dalla Florence Film Awards.
di Luca Paglia
Una passione tramandata dal padre Alberto, che sognava di diventare regista
Il cinema entra nella vita di Max a partire dalla tenera età. Grazie alla vasta collezione di VHS e DVD appartenente al padre Alberto, ex maresciallo dei carabinieri con la passione per il grande schermo e aspirante regista, ha infatti potuto osservare i capolavori dei più celebri cineasti internazionali, in particolare quelli d’origine americana, italiana e giapponese, coltivando il sogno di poter anche lui, un giorno, prender posto sul retro di una cinepresa: «Ciak, si gira!».
La formazione professionale e l’amore per il “cinema reale”
Da lì in avanti, ogni scelta di Max Menghini sembra essere stata presa con la consapevolezza di avvantaggiare la sua futura professione. Il percorso universitario in Lettere Moderne, l’acceso interesse per la fotografia, per la musica, e l’avanzato corso di studi presso l’istituto cinematografico Alessandro Ippoliti, polo multiculturale romano che lo ha introdotto ufficialmente nel mondo del cinema, gli hanno infatti fornitole nozioni tecnico-pratiche per dar vita alla propria arte. Fervente sostenitore del cinema d’autore, genere a cui i suoi film appartengono, all’incirca tre anni fa Max ha iniziato a girare i primi cortometraggi ufficiali. L’amore per l’attualità, «per il mondo reale», in cui le persone possono in parte riconoscersi nei ruoli interpretati dagli attori, e in cui è possibile denunciare fatti che altrimenti rimarrebbero in secondo piano, è infine il “filo rosso” che collega e contraddistingue le sue opere.
La cruda storia di Rebecca
In ordine cronologico, Rebecca rappresenta la sua ultima produzione. Candidato a ben quattro menzioni d’onore in altrettanti concorsi, grazie alla forza comunicativa della storia e al talento degli attori e dell’intero gruppo di lavoro, che Max definisce «straordinariamente unito», il film ha ricevuto un “Premio Speciale” al rinomato concorso della Florence Film Awards. Un risultato forse inatteso data l’alta competitività e la partecipazione massiccia all’evento, ma senza alcun dubbio meritato.
La trama del cortometraggio, che si svolge tra una camera da letto e la periferia urbana, ritrae la storia di Rebecca. Un ragazzo omosessuale lasciato solo, costretto a prostituirsi per poter sopravvivere, che pur essendo in balia degli eventi, della violenza e degli incontri inattesi vive con coraggio “la strada”. Una sequela d’immagini che in poco meno di dieci minuti conduce lo spettatore a interrogarsi sulla fragilità dell’essere umano e sulla vita degli invisibili, ovvero di tutti coloro che nell’assordante silenzio dell’indifferenza subiscono quotidianamente delle violenze a causa della loro sessualità. Data la triste cronaca che ha caratterizzato le comunità LGBTQ+negli ultimi mesi, un tema estremamente attuale.
Un futuro roseo: due film pronti (uno in uscita), e la casa filmografica
Con l’obiettivo di bissare i successi finora ottenuti e di raggiungere mete ancor più ambiziose, come ad esempio poter dirigere un lungometraggio, Max ci ha riferito la sua volontà di fondare una casa cinematografica indipendente e di renderla competitiva a livello nazionale e internazionale, la Black Dog Film, e di aver in uscita un nuovo cortometraggio, intitolato Malavivre, la cui storia teniamo volutamente segreta per non creare eventuali spoiler. Inoltre, cavalcando l’onda emotiva dei risultati ottenuti, il regista ci ha messo al corrente di avere un ulteriore film, dal nome palindromo, che attende di essere pubblicato: “11:11”. Anche in questo caso, il tema trattato sarà estremamente contemporaneo dato che avrà a che fare con la violenza perpetrata alle donne. Un futuro quindi decisamente impegnativo, ma che promette di essere oltremodo soddisfacente, date le premesse.
Il coronamento di una carriera ha origine in Giappone
Infine, è con una riflessione sul celebre regista giapponese Akira Kurosawa che Menghini conclude l’intervista. Esprimendo il desiderio di poter seguire le orme del famoso maestro di Tokio, ovvero di tornare a produrre dei film con uno scopo che nel cinema contemporaneo, così ricco d’effetti speciali ed’azione fine a sé stessa, sembra essere stato accantonato: far emozionare gli spettatori senza perdere il contatto con la realtà. Un obiettivo tanto difficile quanto nobile, che tuttavia qualcuno deve continuare a perseguire se si desidera dare nuova linfa, o pellicola, al grande schermo.