In questi anni di globalizzazione oramai avanzata, Venezia è sempre più meta di turisti asiatici, spesso nipponici o cinesi. Ma prima dei turisti a Venezia sono arrivati i ristoratori orientali che hanno cominciato a impiattare involtini primavera, spaghetti di riso o di soya e altro cibo simile. E il Sushi? Questo cibo è entrato più tardi anzi proprio da pochi anni ed è subito diventato una moda specialmente tra i giovani in città.
Oggi oramai tutti conoscono questo tipo di cibo e di preparazione, quasi tutti poi l’hanno provata. Molti la apprezzano, solo pochi non la sopportano.
C’è da dire che il sushi è un’arte: le origini di questo tipo di cibo sono lontane nel tempo e nello spazio. Bisogna tornare indietro di duemila anni almeno e spostarsi molto ad est rispetto a noi, circa diecimila chilometri: Tokyo infatti ne dista da Venezia 9562. I più antichi documenti che attestano la presenza di questo cibo in Giappone risalgono però all’VIII secolo d. C.
Quando giunse in Giappone la coltivazione del riso, il sushi indicava il pesce conservato nel riso fermentato. Il pesce, infatti, veniva eviscerato, salato e posto in mezzo al riso cotto, la cui fermentazione provocava un aumento di acidità dell’ambiente in cui si trovava, al punto da poterlo conservare anche per interi mesi, persino stoccandolo e trasportandolo comodamente.
Quando poi bisognava consumare questo alimento, il riso veniva eliminato e si mangiava solo il pesce. Più tardi all’incirca nel nostro Medioevo, si cominciò a mangiare anche il riso assieme al pesce conservatovi, creando un po’ alla volta questo tipo di cibo che associa il riso al pesce crudo, dal nome di namanare o namanari. Il riso non era utilizzato per la fermentazione e le sue proprietà di conservante. Il riso veniva ora mischiato ad aceto, cibo essiccato e verdure oltre che al pesce. Questo tipo di sushi è ancora oggi molto popolare.
La creazione del Sushi “moderno” arriva intorno al 1800 grazie all’intelligenza di Hanaya Yohei, un cuoco proprietario di un chiosco ambulante, che per evitare di far marcire il pesce, iniziò a scottarlo leggermente o a marinarlo in aceto o salsa di soia, per poi tagliarlo a fettine sottili e disporlo su palline di riso acidulato. Una piccola aggiunta di Wasabi (rafano giapponese) camuffava, in caso, sapori forti dovuti alla difficile conservazione.
Pratico da mangiare divenne rapidamente un piatto molto apprezzato che grazie ai vari ambulanti si diffuse in tutto il Giappone.
Specie presso gli abitanti di Tokyo che vivevano nella fretta dei primi anni del XX secolo per questo tipo di sushi si utilizzava riso non fermentato e lo si poteva mangiare con le mani o con le bacchette. Si trattava di una prima forma di fast food che poteva essere consumata in pubblico o a teatro.
E da cibo che costituiva un’importante risorsa proteica nell’alimentazione giapponese oggi è divenuto un cibo sfizioso per chi ha voglia di cambiare o fare una serata diversa tra amici. E’ passata al Sud Est Asiatico e oramai anche all’America e all’Europa. Sembra infatti che l’Occidente lo abbia scoperto grazie all’arrivo presso l’ambasciata giapponese a Washington del principe Akihito che lo offrì ad alcuni ufficiali americani durante un ricevimento. In Italia è arrivato relativamente da poco tempo.
Alcuni ritengono che le origini non siano giapponesi ma pur sempre in Asia, in Corea o, forse, in Cina. Ironia della sorte: molti ristoranti delle nostre città preparano sushi ma i gestori e i cuochi sono cinesi.
Lo si può mangiare con le bacchette tipiche della cucina orientale (Cina, Giappone, Vietnam, Corea ecc) oppure con le mani, ma ci sono alcune regole da seguire, come ad esempio non mettere salsa wasabi nella salsa di soya; tra una varietà di sushi e l’altra pulirsi la bocca con un po’ di zenzero (gari); intingere il sushi nella salsa di soya dalla parte del pesce, non del riso; passare dai sapori più delicati a quelli più intensi.
Naturalmente la regola migliore è fare attenzione all’igiene oltre che usare la massima prudenza se si hanno allergie o anche solo intolleranze.
Nel giro di pochi anni, i prezzi di sushi, sashimi (pesce solo rigorosamente crudo) e carpacci di pesce sono decisamente calati e oggi, soprattutto nelle grandi città, ci si può togliere la voglia di questi piatti con soli 10 euro per un intero pranzo. Com’è possibile? C’è da fidarsi del sushi low cost? Oggigiorno è quasi impossibile per un cliente di un ristorante capire da dove arriva il pesce, come è stato conservato e trattato.
Ricordiamo ad esempio che talvolta anche per i ristoranti “normali” il tonno giallo viene colorato per essere trasformato nel più pregiato e raro tonno rosso. Nel migliore dei casi il consumatore rischia di venir truffato e di trovare nel piatto pesci diversi rispetto a quelli che ha ordinato, nel peggiore dei casi può essere vittima di un’intossicazione alimentare.
Il pesce crudo può essere contaminato da molti microorganismi patogeni o da parassiti che provocano disturbi gastrointestinali. Il rischio più comune è quello della sindrome sgombroide, che nel giro di un paio d’ore dal consumo provoca diversi sintomi, soprattutto eritema, pruriti, tachicardia e disturbi gastrointestinali. E’ quello che viene comunemente “mal di sushi” e consiste nella reazione all’eccessiva esposizione ad amine biogene, come l’istamina. Queste sostanze vengono prodotte in grandi quantità durante il processo di putrefazione di alcune specie ittiche, come tonno, sgombro, sardine, ricciole e alici. Quindi sono l’inquinamento microbiologico e le temperature di conservazione errate a rendere questi pesci crudi responsabili dei casi di sindrome di “sgombroide”.
Come fare, allora, per mangiare sushi al ristorante senza rischi? Guardare bene la vetrinetta in cui è esposto il pesce: i prodotti ittici devono esservi appoggiati sopra al ghiaccio e ben protetti dallo stesso.
Vogliamo parlare della pulizia?: il cuoco addetto al sushi deve lavarsi spesso le mani, lavorare con utensili puliti e tenere ordinato e curato il piano su cui avviene il taglio del pesce. Sembrano regole ovvie, ma non è così e non sono sempre rispettate.
Quanto al sushi, invece, è fresco se il pesce non si presenta opaco, e il riso non sembra vitreo e non presenta chicchi troppo incollati l’uno all’altro.
E se vogliamo fare bella figura in casa o con gli amici o in un pranzo d’affari? Quale vino ci possiamo abbinare? un Gavi DOCG equilibrato e fresco, oppure se la cena giapponese prevede più portate, un Sauvignon, perfetto anche per zuppe di pesce speziate, oppure uno spumante Metodo Classico, per equilibrare la grassezza del salmone (specie crudo) e dell’anguilla, o per evidenziare ancor di più la freschezza di un sashimi di tonno rosso. Per il tamagoyaki (una sorta di omelette) è perfetto il Pinot Grigio o i bianchi dell’Alto Adige semi-aromatici, come Kerner e Sylvaner. Anche il Gewurztraminer si abbina bene alla cucina giapponese, anche se predilige piatti speziati al curry, dal sapore più intenso e penetrante. Coi pesci affumicati accompagniamo un Lagrein rosé.
Il sushi è diventato concettualmente la pizza del nuovo millennio.
Via libera allora al pesce crudo alternativa glam allo spuntino di mezzogiorno o alla cena serale in centro, ma attenzione: per quanto possa risultare leggero e gustoso non sottovalutiamone i rischi.
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