Pane e bistecca: qualcuno ricorda il panino con la bistecca che le nostre nonne (o mamme, a seconda delle nostre primavere) preparavano al mattino e inserivano nel cestino della “scuola materna” o nella cartella della “primaria”? allora però i nomi erano diversi: la prima si chiamava semplicemente asilo (parola che oggi ha significati assai diversi e evoca diritti a volte dimenticati e calpestati) e la seconda si chiamava elementare.
La classica bistecca di una ventina o trentina di anni fa è diventata la bistecchina, la steack, la vegansteack, la bistecca di soya, di seitan ecc. Ma dobbiamo demonizzarla e bandirla dalla nostra tavola o rimpiangerla e riportarla sui nostri piatti?La bistecca è un tipo di taglio di carne solitamente di bovino. Apprezzata è anche quella di cavallo. In Veneto si chiama “straeca” e un tempo la si dava agli anemici o a chi fosse in penuria di ferro, per convalescenza dopo una malattia o dopo un periodo di stress. Esiste anche di suino per chi ama i sapori più forti. E poi le bistecche più leggere di carne bianca quali il pollo, il tacchino, l’anatra, il coniglio, l’agnello. Nel nord Europa si consuma volentieri la bistecca di renna. Il taglio viene effettuato solitamente in modo perpendicolare ai muscoli dell’animale in modo da aumentarne la tenerezza.
Gli Italiani hanno un rapporto davvero complesso con la bistecca, c’è chi la depreca e chi la esalta e… chi vi ha dedicato un partito. Come nel lontano 1953 quando al Parlamento si presentò un “Partito della Bistecca” chiamato Partito Nettista Italiano, che prometteva a ogni cittadino una bistecca al giorno. Lo aveva fondato Corrado Tedeschi, un editore davvero originale che stampava una rivista di enigmistica e incideva dischi, compreso il primo di una sconosciuta che si presentava col nome d’arte di Baby Gate, meglio nota poi col nome d’arte di Mina. Tra i motti di questo partito c’era: “Meglio una bistecca oggi che un impero domani”, con chiaro riferimento alle passate esperienze coloniali dell’epoca fascista.
La bistecca si presenta generalmente con l’aspetto di una “fetta” di carne. Come consumarla? In questi giorni di “quarantena” forse l’abbiamo preparata alla griglia nel giardino di casa o, per i meno fortunati, in terrazzo. La si può altrimenti consumare ai ferri o fritta.
I tagli della zona lombare o del costato devono esser cotti molto velocemente per evitare l’indurimento della carne, mentre i tagli di collo o girello vengono cotti lentamente o inteneriti meccanicamente: per l’acquisto quindi lasciamoci consigliare dal nostro macellaio di fiducia.
In molte zone europee, la bistecca più diffusa è, quasi per antonomasia, la bistecca alla fiorentina, chiamata in inglese “T-Bone steak” per via del caratteristico osso a forma di “T”. Più nota semplicemente come “la fiorentina”, un taglio di carne di vitellone o di scottona, è uno dei piatti più conosciuti della cucina toscana. Si tratta di un taglio alto comprensivo dell’osso, da cuocersi sulla brace o sulla griglia, con grado di cottura “al sangue”.
La leggenda del nome della bistecca vuole che nel 1565, in occasione di una festa avvenuta a Firenze in Piazza San Lorenzo venisse distribuito al popolo un bue girato allo spiedo. Fra la gente c’erano dei mercanti inglesi che, alla vista di quelle fette di carne cominciarono a gridare: “beef-steak! beef-steak!” (fetta di manzo).
Secondo alcuni ricercatori, invece la bistecca si è diffusa in Italia solo nel corso dell’800, sempre grazie agli inglesi, che insediandosi in Toscana abituarono i macellai a procurarsi un determinato taglio di carne, fatto trasversalmente alla lombata.
La scottona in particolare cos’è? Non è una razza bovina, non è nemmeno un taglio di carne: è la femmina del bovino di età compresa tra i 18 e i 24 mesi (talvolta arriva anche a 3 anni) che non ha mai partorito. La giovane femmina di bovino viene anche chiamata “manza” o “giovenca”, ma la scottona è proprio quella destinata alla macellazione. Si tratta, infatti, di una carne molto magra e giovane, caratterizzata da tessuti maturi ma ancora non sottoposti a sforzi, fattore che contribuisce alla sua tipica tenerezza.
Ma veniamo alle calorie: quante ne ha? Dipende da molte variabili, dal tipo di carne e dalla preparazione. Consideriamo che una bistecca di manzo semigrassa può partire dalle 180 calorie per 100 grammi. E la digeribilità? Anche questa dipende da numerosi fattori e può arrivare alle tre-quattro ore. Perciò regoliamoci nell’assumere la giusta quantità di carne a seconda dell’attività che poi dobbiamo svolgere. Non tuffiamoci in mare o in piscina (ora che è possibile) dopo un pranzo generoso di carne; attendiamo il tempo dovuto.
Poi dipende anche dalla nostra età: ricordiamo ad esempio che per la terza età è utile mantenere nella dieta alimentare un po’ di carne perché un adeguato apporto di proteine contrasta la perdita di massa muscolare, responsabile di disabilità e aumento del rischio di fratture.
E per i nostri piccoli? È indispensabile, in quanto le proteine animali sono più complete di quelle vegetali. La carne serve anche per sviluppare il patrimonio di gusti del bambino e renderlo più aperto a provare nuovi sapori. Non vogliamo certo demonizzare i vegetariani: in genere, infatti, una dieta vegetariana ben fatta varia la gamma di alimenti e può assicurare tutti gli elementi nutrienti indispensabili alla crescita e al mantenimento della buona forma fisica.
Qui in Veneto abbiamo una lunga tradizione di cucina e prepariamo la bistecca in molti modi, ma uno davvero originale è quello della cotoletta alla veneta. Basta organizzarsi un po’ per tempo prima di uscire. Bisogna prima preparare a fette non molto sottili la fesa di vitello, di circa un etto e mezzo l’una, poi batterla e lasciarla macerare per un paio d’ore in olio e limone insieme a qualche fettina di cipolla. Trascorso questo tempo, scoliamo le fettine e immergiamole nella farina, cercando di coprire bene tutta la superficie della carne. Friggiamo la carne in olio ben caldo, scoliamola su carta assorbente e possiamo servirla in tavola con una spolverata di pepe.
Il Veneto ha poi altre sorprese: un tempo se si era troppo vivaci e si combinava qualche marachella, le nostre mamme ci minacciavano un altro tipo di bistecca e intendevano uno schiaffo a volte detto anche s-ciàfa, s-ciafón, papìna, slépa, papàvara. Oggi ovviamente condannato dai migliori pedagoghi ed esperti di infanzia.
Ci è venuta fame? se non vogliamo stare ai fornelli, usciamo al ristorante. Sempre con attenzione agli accorgimenti igienici e sanitari.
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