Di grande interesse la mostra allestita presso palazzo Roverella a Rovigo: “Vedere la musica; l’arte dal simbolismo alle avanguardie”.
Dopo quella dedicata a Marc Chagall svoltasi in piena pandemia con lunghi periodi di lockdown, è la volta di una mostra che accoppia l’arte della musica e l’arte figurativa. Mettere sul foglio o sulla tela la musica: come è possibile? Ci è riuscito il curatore Paolo Bolpagni, grazie alla Fondazione Cariparo, presieduta dall’ex rettore dell’Ateneo patavino Gilberto Muraro.
La mostra è in ordine cronologico e parte dal Simbolismo di fine Ottocento. Vengono narrate attraverso un percorso di una decina di stanze le relazioni e le corrispondenze tra l’elemento musicale e le arti visive. Dopo l’ouverture del magico Simbolismo dell’opera “Notte d’estate” di Bonazza si passa al wagnerismo: al celebre compositore tedesco si ispirano opere meravigliose, dipinti, stampe, incisioni e sculture. Si sfiorano anche l’esoterismo e la teosofia che si diffusero in Europa dopo la sua morte (1883). “Era impossibile – per riprendere le parole di Edouard Dujardin, direttore della Revue Wagnèrienne – andare a fondo del wagnerismo senza incontrare il simbolismo”.
Nel 1902 la Secessione di Vienna dedica una mostra a Ludwig van Beethoven: è il musicista emblema del folle, maledetto, genio incompreso. Rappresentato sempre con la chioma arruffata, il ciuffo scomposto, l’aspetto addirittura minaccioso e cupo, comunque introverso. Ecco le sculture e i busto di Giuseppe Grandi, di Adele Schallenmuller. Ma anche il dipinto di Felice Casorati, “Beethoven” in cui regna il silenzio prima che la bambina raffigurata inizi l’esecuzione.
Una sala che commuove quella dedicata all’opera lirica italiana: più l’opera declina a cavallo del Novecento, più si fa vivace la cartellonistica che presenta esemplari coloratissimi di manifesti operistici. Con l’arrivo delle avanguardie, poi, soprattutto dagli anni Dieci del Novecento, i suoni di Johann Sebastian Bach diventano modello e paradigma per la pittura di Vasilij Kandinskij, Paul Klee, František Kupka, Félix Del Marle, Augusto Giacometti e molti altri. In Austria visse un artista sensibilissimo alla musica quale fu il talentuoso Oskar Kokoschka.
Poliedricità e eclettismo caratterizzarono anche l’artista compositore, inventore della dodecafonia che qui in mostra è presente con una sua opera pittorica “Carte da gioco fatte a mano” del 1909. Una pagina ricca poi quella del Futurismo italiano con dipinti di Giacomo Balla e di Fortunato Depero. Interessante per la sua originalità l’esclusiva “macchina intonarumori” appositamente ideata e realizzata per generare rombi, ronzii, scoppi, crepitii, all’insegna della città moderna che oramai caratterizzava l’inizio del nuovo secolo.
E via via poi, passando per il Cubismo, il Futurismo, il Neoplasticismo, fino al Dadaismo e al Surrealismo, la musica si conferma un riferimento assoluto, divenendo centrale in Kandinskij e Klee, non meno che per altri protagonisti delle avanguardie europee. Si fa sempre più strada l’idea di un’arte senza oggetto, on una crescente rinuncia alla rappresentazione. Negli anni venti e Trenta è Vassilij Kandinskij a sviluppare il concetto di opera d’arte monumentale costituita da suono, colore e movimento della danza.
Con lo scoppio della Grande Guerra si assiste a un ritorno delle forme espressive più tradizionali: ecco il bellissimo “Studio per il violoncellista Crepax” di Anselmo Bucci. A completare la visita, la stanza dedicata alla grafica con il filone portante delle illustrazioni per partiti.
Una mostra-spettacolo di assoluto fascino. Merita una visita. Ma, attenzione, chiude il 4 luglio e bisogna prenotare.