“Sani” è il titolo dello spettacolo che da circa un anno Marco Paolini porta nelle città, tra teatri e palazzetti. Parlerà di salute? Dopo questi due anni oramai fortunatamente alle spalle, potrebbe pure andar bene… Paolini parla un po’ di tutto nel suo spettacolo che a Padova ha visto il pienone mercoledì 5 marzo.
E’ il Paolini di sempre tra teatro e canzone accompagnato dalla chitarra ruvida e sincera di Lorenzo Monguzzi e dalla voce originale di Saba Anglana. Come sempre coniuga il Veneto con la situazione sociale, economica e il cambiamento dei costumi.
Come non ricordarlo nei numerosi suoi spettacoli? Dal primo importante che lo ha fatto conoscere al grande pubblico in TV nell’oramai 1997 ai più recenti. Quello spettacolo sul Vajont iniziava con la celebre frase:
Quanto pesa un metro cubo d’acqua?
Un metro cubo d’acqua? Mille chili, una tonnellata. Una tonnellata va bene?
Interrogativo ambientalista che Paolini ripete anche in questo show, in una sorta di filo conduttore che cavalca i decenni ed è sempre attuale.
Si orienta tra date, nomi, episodi, certezze e dubbi, ostacoli e passaggi che creano un intreccio accattivante. Lo spettatore è incollato alla poltrona per circa due ore.
Episodi che non troviamo sui libri di storia o che, se ci sono, occupano solo qualche riga. Eppure Paolini li dilata, li fa racconto con l’abilità che lo caratterizza da sempre. E lo fa piano piano, in un crescendo che parte dalla sua cantilena “nostrana” lenta e cadenzata e per farsi, talvolta, rabbia e dialettica, senza perdere mai di vista l’obiettivo di confrontare la nostra vita di singoli individui con i macrosistemi politici ed economici: due realtà che spesso collidono, si scontrano e rischiano di implodere. Si rivolge al pubblico del Geox chiamandolo “Padova!”.
Lo spettatore quasi teme di essere chiamato per nome e cognome: manca poco che Paolini lo faccia con i professori dell’Ateneo patavino di cui ricorda il prestigio e gli 800 anni dalla fondazione. Passa infatti da temi di microeconomia a quelli di sociologia, dall’ambientalismo alla Guerra Fredda, dalla borsa ai grandi spostamenti di capitali finanziari.
Marco Paolini
Attore, autore e regista, dagli anni Settanta al 1994 ha fatto parte di varie compagnie. Col Teatro Settimo di Torino sono nati i suoi “Album”, i primi episodi di una lunga biografia collettiva che attraversa la storia italiana dagli anni ’60 ai giorni nostri. Come autore e interprete si è distinto per narrazioni di forte impatto civile (I-TIGI racconto per Ustica, Parlamento chimico, Il Sergente, Bhopal 2 dicembre ’84, U 238, Miserabili) e per la capacità di raccontare il cambiamento della società attraverso i dialetti e la poesia sviluppata con il ciclo dei Bestiari.
Appassionato di mappe, di treni e di viaggi, traccia i suoi racconti con un’attenzione speciale al paesaggio, al suo mutarsi, alla storia (come nel Milione).
Ha dato vita a progetti dedicati alla tecnologia intitolati #Madre Incerta, una trilogia di cui fanno parte Le avventure di Numero primo (2016, con l’omonimo romanzo edito da Einaudi), #Antropocene, oratorio per voci, violoncello solista e orchestra (con Mario Brunello e Frankie hi nrg mc, 2017), Tecno Filò (2018).
Nel 2019 nasce Nel tempo degli dèi. Il calzolaio di Ulisse coprodotto con il Piccolo Teatro di Milano. L’anno dopo crea lo spettacolo Filo Filo’ e nel 2020 Senza confini_No borders. I suoi ultimi spettacoli sono SANI! Teatro fra Parentesi, il cui primo sviluppo artistico è nato durante il lockdown e Antenati e altre storie.
Nel 1999 ha fondato Jolefilm, la società con cui produce tutti i suoi spettacoli, oltre a documentari e film dall’ottimo riscontro di pubblico e di critica (dal pluripremiato Io sono Li di Andrea Segre, ai più recenti La pelle dell’orso, di cui oltre che interprete è coautore con il regista Marco Segato, L’ordine delle cose e Welcome Venice di A. Segre, Effetto Domino di Alessandro Rossetto).
E la scenografia come si presenta? E’ un castello di carte: proprio come quelle che tutti abbiamo costruito da bambini. Impalcature fragili che paiono rispecchiare l’incertezza del vivere, tra un fante di coppe (che in Veneto chiamiamo vecia) e un asso di danari.
Esilaranti i suoi racconti come quello delle banane: Paolini narra cosa significassero nella sua famiglia. Frutta simbolo di ricchezza e possibilità, in anni in cui il paese e la nostra regione uscivano da una guerra lacerante.
Ma colpisce anche la storia di come un piccolo gerarca del KGB abbai sventato una (finta?) guerra nucleare e non ultimo anche il suo rapporto di odio e amore con la Sagrada Familia di Barcellona; poi ancora la narrazione del terremoto del 1976 a Gemona nel Friuli. Storie di vita che potremmo sentire al bar e altre invece nelle aule universitarie.
E quando lo spettacolo è finito, Paolini, richiamato dagli applausi, torna a parlare del suo incontro con Carmelo Bene e di come abbia deciso di fare il mestiere dell’attore: tra divertimento e ironia, Paolini è avvincente, appassionato e finisce per coinvolgere in un applauso ritmato e cantato anche gli spettatori più pigri.