Domani 9 ottobre è l’anniversario del triste evento che ha segnato la storia del Veneto e dell’Italia tutta: esattamente sessant’anni fa la frana del Monte Toc cadeva nell’invaso della diga di Longarone e parte dell’onda generata provocava l’inondazione e distruzione dei paesi del fondovalle, tra cui Longarone. Morirono 1.910 persone, tra cui 487 giovani di età inferiore a 15 anni.
Le manifestazioni di questi giorni sono molteplici tra conferenze, eventi, visite guidate, incontri e spettacoli teatrali.
Ricordiamo anche il nuovo spettacolo-narrazione “La montagna nel bicchiere” di Gualtiero Bertelli, Edoardo Pittalis e Cimo Nogarin tra musica, parole e immagini della tragedia. Il titolo va oltre la celebre definizione di Dino Buzzati che nel Corriere della Sera l’11 ottobre scrisse (non senza suscitare critiche): “Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”.
Se ne parla anche in TV, nelle aule universitarie, nelle scuole. Non si deve dimenticare infatti questa immane tragedia che negli anni è stata studiata, analizzata in tutti i suoi lugubri particolari. In questi giorni, a ricordarla nelle nostre città ci sarà l’attore e regista veneto Marco Paolini che per primo portò in televisione la storia del Vajont e della sua tragedia. Era l’oramai lontano 1997 quando l’attore bellunese andava in onda in diretta con Il racconto del Vajont. Si inaugurava allora un rito collettivo di conoscenza e di partecipazione che ha unito il Paese nella testimonianza di una tragedia, ma soprattutto nella consapevolezza di un modo tipicamente italiano di fare le cose che insiste a sopravvivere in questioni complesse e criticità senza contraddittorio.
Il racconto del Vajont era allora la voce e il corpo di Marco Paolini. L’esperienza si ripeterà nella serata di lunedì 9 ottobre 2023, nel 60º anniversario della tragedia del Vajont e diventerà VajontS 23, azione corale di teatro civile messa in scena in contemporanea in 130 teatri dall’Alto Adige alla Sicilia e anche all’estero. Venezia e Padova comprese.
“VajontS 23” è un progetto con una “S” maiuscola messa in fondo per raggruppare la pluralità dei disastri italiani: l’alluvione di Firenze (1966), l’esondazione del Po e del Tanaro (1994), la frana di Sarno in Campania (1998), l’alluvione di Genova (2014), gli incendi del Carso (2022), la valanga staccatasi dalla Marmolada (3 luglio 2022), fino all’alluvione in Romagna (maggio 2023).
Altre regioni coinvolte con performance teatrali di alto livello saranno a Torino, dove Gabriele Vacis (firmò la regia nel 1997) porterà in scena il racconto con i giovani della compagnia Pem. A Roma ci saranno tra gli altri Piero Sermonti, Neri Marcorè e Isabella Ferrari. A Ravenna, Marco Martinelli. A Palermo, Teresa Mannino. A Udine, Davide Enia. A Genova, Luca Bizzarri ed Elisabetta Pozzi. Il progetto prevede alcune performance in luoghi particolari come l’ex ospedale psichiatrico Pini di Milano, alcune centrali idroelettriche, i circoli letterari, l’Hangar 11 a Belluno e l’aula magna del Politecnico di Milano. “VajontS 23” varcherà i confini con rappresentazioni a Parigi, Edimburgo, Ginevra e Maiorca. Tutti si fermeranno, in contemporanea, alle 22.39, l’ora in cui la montagna è franata. Anche il Teatro Stabile del Veneto prenderà parte a questo rito collettivo con due serate ospitate al Teatro Goldoni di Venezia e al Teatro Verdi di Padova coordinate da Marco Paolini. A Venezia sarà Sandra Mangini a coordinare un cast di primo piano composto da Ottavia Piccolo, Carlo & Giorgio, Maria Roveran, Gianmarco Busetto, Eleonora Fuser, Luciano Roman, Giacomo Rossetto, Anna Tringali e con un secondo gruppo di allieve e allievi del II anno dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni.
La storia del Vajont riscritta, 25 anni dopo il racconto televisivo, da Marco Paolini con la collaborazione di Marco Martinelli, è una narrazione pronta a fermarsi alle 22.39, l’ora in cui la montagna franò nella diga, e a moltiplicarsi in un coro di tanti racconti per richiamare l’attenzione su quel che potrebbe ancora accadere. A maggior ragione in tempo di crisi climatica e in un territorio caratterizzato da frequenti rischi idrogeologici.