Gabriele Vacis "rilegge" Eschilo all'Olimpico di Vicenza

Gabriele Vacis "rilegge" Eschilo all'Olimpico di Vicenza

Una tragedia nel senso pieno del termine quella de “I sette a Tebe” che Eschilo scrisse nel lontano 467 a.C. in cui la vera protagonista è la guerra. Un tema a dir poco tristemente contemporaneo, attuale, odierno. Il pensiero corre all’est Europa ai territori dell’Ucraina, martoriati dalla guerra che ormai si perpetua da più di un anno: era il 24 febbraio del 2022 quando le forze armate della federazione russa invadevano il territorio ucraino.

   E’ questo lo spettacolo che ha aperto il 76° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza “Stella meravigliosa”, con la direzione artistica di Giancarlo Marinelli, giovedì scorso e che ha bissato venerdì 22 e sabato 23 settembre.
Gabriele Vacis, il regista torna in scena con un dramma di Eschilo, il primo dei tre grandi tragediografi greci del V secolo a.C. che inserì l’opera de “I sette a Tebe” all’interno del cosiddetto “Ciclo tebano”; è la terza ed ultima parte di una trilogia legata, una sequenza di tre tragedie che raccontavano un’unica lunga vicenda. La prima e seconda parte della trilogia, le tragedie Laio e di Edipo, sono andate perdute.
Personaggi guerrieri che si scontrano alle sette porte di Tebe e un coro di donne della città che si lanciano in invettive contro la guerra e piangono i propri cari morti in battaglia. E poi un corollario di personaggi minori, comparse, spalle, quasi controfigure a suggerire la moltitudine della folla cittadina, che commenta, critica, riflette.
Nella rivisitazione che ne fa il regista Gabriele Vacis, gli eroi non sono sette, ma sei, tre coppie: ma questo poco conta. Conta invece il messaggio che il noto regista e drammaturgo torinese vuol riproporre risalendo a Eschilo, come già aveva fatto lo scorso anno, mettendo in scena il Prometeo dello stesso tragico ateniese. La compagnia è la stessa del 2022, quella dei giovani attori della scuola di teatro torinese.

   Come nella tragedia dell’eroe solitario Prometeo, anche qui Vacis sa mettere in giusto rilievo la straripante personalità di Eteocle, un personaggio che si dimostra una guida molto sicura per la propria città, ma anche un sovrano del tutto solo. All’inizio dell’opera si mostra a tutti come un buon re, pronto a rincuorare la cittadinanza preoccupata e a rimproverare senza indugi le donne tebane terrorizzate dalla guerra. Il popolo appare profondamente legato al suo re, ed il sentimento è reciproco.

       Il personaggio ha poi un forte mutamento e non appena nota che ad attaccare la settima porta della città ci sarà suo fratello Polinice, Eteocle comprende che i due sono predestinati a scontrarsi. Viene allora colto da una furia incontenibile e si avvia verso il proprio destino senza alcun indugio. Ancora una volta una guerra fratricida, una lotta tra fratelli di sangue, uno scontro aspro e ingiusto che mette alla prova i solidi legami famigliari.
       I mutamenti di carattere, l’evoluzione dei personaggi, i passaggi tra gli stati d’animo sono segnati, come è nello stile di Vacis, da un dinamismo sempre vivace, da movimenti ininterrotti sulla scena, ora più lenti, ora veloci, accelerati, quasi parossistici. Nessun personaggio è fermo e anche ciò che in scena lo è, lo è solo apparentemente. A dare movimento poi le voci: sono modulate in toni diversi ora acuti ora gravi, ciò che è piccolo e invisibile si fa – grazie anche ad esse – grande in un attimo. Gli attori sono performanti, quasi come acrobati. La scena dei duelli presso le porte di Tebe è di altissimo effetto emotivo: le scelte di regia di Vacis ammaliano il pubblico in un turbinio di (finta) violenza, di grida e di colpi parati, una prima volta, andati a segno, la seconda. Alla fine la strage.

     E poi come non apprezzare quello che nell’antico è già ATTUALE (come da sempre sostiene Eva Cantarella) e che il regista coglie nel cambio d’abito che avviene sulla scena, con le testimonianze biografiche delle donne e degli uomini di oggi, con i riferimenti ossessivi alle armi, alle persecuzioni, ai rastrellamenti. La memoria va ai nostri nonni e bisnonni, alle generazioni della seconda guerra mondiale e non solo.

     Un’esperienza da fare quella di ammirare l’opera di Vacis, per una liberazione catartica dai nostri drammi interiori, per riflettere sulla guerra che da tanto, troppo tempo, accompagna gli uomini e che sembra essere paradossalmente la più terribile forma d’amore che l’umanità conosca.

La rassegna continua con altri eventi e spettacoli fino a ottobre inoltrato. Per tutte le informazioni consultare il sito del Teatro Olimpico di Vicenza.

www.teatroolimpico.vicenza.it