Il mese di novembre ha visto il ritorno di Cosmofood alla Fiera di Vicenza: l’esposizione ha offerto ai professionisti del settore Horeca una vivace occasione di confronto, di cui abbiamo raccontato l’atmosfera in quest’articolo.
Dopo aver esplorato gli stand e dialogato con gli espositori, ecco alcuni degli spunti più interessanti, raccolti in una breve serie di Cosmofood bites.
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Lo stand dell’Unione Cuochi del Veneto
In rappresentanza della Federazione Italiana Cuochi, ha partecipato a Cosmofood il distaccamento della Regione Veneto, presieduto da Valter Crema: alla FIC aderiscono in media 20.000 professionisti l’anno, prendendo parte alle attività e agli eventi organizzati nelle varie sedi provinciali (120 in totale). Oltre ai percorsi formativi, la FIC predispone numerose opportunità di coordinamento fra domanda e offerta di lavoro, avvantaggiando in questo modo gli allievi degli Istituti Alberghieri di ogni ordine e grado.
Allo stand dell’UCdV abbiamo avuto modo di dialogare con lo Chef Marco Pesce: «Quella del cuoco non è una professione facile: benché sia diventata un’attrattiva televisiva, non tutti possono improvvisarsi chef. Quello che facciamo qui è fornire competenze, che promuoviamo anche attraverso l’organizzazione di eventi e competizioni in stretta collaborazione con le aziende di ristorazione».
L’Unione Cuochi del Veneto ha anche organizzato alcuni dei talk ospitati alla Cosmofood Arena, sul tema “nuova e/o vecchia cucina”: «La tradizione è un’innovazione ben riuscita», ricorda sempre Marco Pesce, «e non sempre è facile capire quali delle novità del presente lasceranno un segno. Che si parli di cucina molecolare, di fenomeni di appeal come la moda dell’affumicatura o ancora di altri trend (il fermentato, l’agrodolce, l’hawaiano poke), la cosa più importante è notare ciò che rimane oltre il picco d’interesse del momento e individuare quello che le persone apprezzeranno anche a distanza di anni».
L’ambiente della FIC può aiutare a stare al passo con i tempi, senza perdere di vista ciò che ha reso celebre la nostra cultura culinaria.
Lo stand della balsameria Casa Lovato
Basata a Nogarolo Vicentino, l’azienda di famiglia di Casa Lovato ha una storia lunga ben diciott’anni: il percorso professionale dei coniugi Lovato è iniziato a Modena, patria dell’aceto balsamico, città dove hanno imparato le tecniche di base che hanno poi applicato alle uve della loro terra.
Lo stesso procedimento modenese viene dunque replicato fedelmente: il mosto viene cotto a fuoco diretto in un paiolo, lasciato decantare e unito ad un filo di aceto di vino e di ciliegia, prima nella botte madre e poi nelle successive, sempre più piccole per dimensioni. Queste vengono stoccate nel sottotetto della balsameria, finché l’aceto non è pronto per essere confezionato.
L’aceto balsamico si produce con pazienza e anni di tempo: il gusto che acquisisce è unico, tanto da fare dell’assaggio qualcosa di indimenticabile. Anche i palati meno allenati a riconoscerne le note fruttate possono notare la differenza rispetto ad un aceto qualunque: per un parere esperto, ci affidiamo all’esperienza di Gualtiero Marchesi, che nel 2016 ha lodato il gusto dell’aceto Lovato (come dimostra la foto ricordo scattata per celebrare il momento).
In caso voleste acquistare i prodotti di Casa Lovato, è possibile trovarli online: insieme al balsamico, sono disponibili anche tre liquori non distillati, ottenuti rispettivamente con noci, corniole e ciliegie infuse in acqua e zucchero.
Lo stand di Artmenu
Nel 2020, i menu cartacei sono progressivamente diventati una rarità: anche nel corso del 2021, le principali soluzioni adottate dai ristoranti sono state i formati elettronici, presentati sia con l’invito diretto a consultare un sito web, sia con il QR code da inquadrare. Lo spazio espositivo di Artmenu invita a riflettere sul tema.
Non è immediato pensarlo, ma anche prima del Covid era necessario sanificare e tenere puliti i menu: spesso si scelgono le pietanze dopo aver ordinato da bere, con il coperto già a disposizione sulla tovaglia, per cui macchie di vino, olio o semplicemente le impronte delle dita di centinaia di persone devono poter essere rimosse.
«Dopo la pandemia, abbiamo proposto l’adozione di materiali resistenti alla sanificazione, come un nuovo tipo di ecopelle che può essere pulito con prodotti a base alcolica (fino al 75%). L’usa e getta non è ecologico, mentre la navigazione su Internet, oltre ad essere più difficoltosa ai piani interrati, non offre al cliente quell’esperienza tattile che sappiamo essere molto importante. Artmenu vuole rilanciare qualcosa di cui ci si possa prendere cura, che sia elegante e duraturo», spiega la responsabile.
Noi, dal canto nostro, non possiamo che augurarci di riscoprire il piacere di sfogliare un menu tradizionale ai tavoli dei nostri ristoranti preferiti.
Immagini a cura dell’autrice