Arcugnano e le Valli di Fimon: una prospettiva archeologica

Arcugnano e le Valli di Fimon: una prospettiva archeologica

La sera di giovedì 10 novembre il Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza ha ospitato la conferenza dal titolo L’insediamento del tardo Neolitico in località Le Fratte (Arcugnano) nel quadro delle nuove ricerche: in quest’occasione, la dottoressa Elodia Bianchin Citton ha esposto con grande passione e chiarezza i contenuti del testo “Nuove ricerche nelle Valli di Fimon”, edito nel 2016 con il contributo della Provincia di Vicenza e riguardante il progetto di scavi condotto tra il 2008 e il 2011 nel territorio comunale di Arcugnano.

Curato dalla stessa dottoressa Bianchin, già funzionaria archeologa della SABAP, il volume si propone di dar conto, in un excursus diviso in sette sezioni, delle scoperte effettuate nel corso della summenzionata campagna d’indagine, informando i lettori sull’importanza del sito e tracciando la storia delle ricerche eseguite in loco sin dal XIX secolo.

Uno scorcio del lago di Fimon (Arcugnano)
Uno scorcio del lago di Fimon

L’evento si è svolto nell’ambito delle attività di valorizzazione dedicate alla mostra temporanea “Palafitte e Piroghe” ospitata sempre all’interno del Museo vicentino, visitabile fino al 31 maggio 2023. Dedicata a Gastone Trevisiol, autore del recupero delle antiche piroghe della Val Ferrara e della Valle della Fontega (poi in gran parte perdute), l’esposizione restituisce al pubblico la maggior parte dei reperti salvatisi dalle attività estrattive della torba grazie all’interessamento di personalità quali Paolo Lioy, il già citato Trevisiol, Luigi Meschinelli, Giuseppe Perin, Alvise da Schio e Aldo Allegranzi, per citare solo alcuni dei nomi coinvolti.

L’intervento del Sindaco di Arcugnano

La conferenza si è aperta con il saluto istituzionale di Paolo Pellizzari, Sindaco del Comune di Arcugnano: “Già quand’è stata inaugurata questa mostra [“Palafitte e Piroghe”, ndr] ho avuto modo di anticipare come l’area di Molino Casarotto, famosa per aver riportato alla luce i resti della Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata, nel 2022 si sia riproposta come centro d’interesse per la nuova campagna di scavi promossa da SABAP e dal Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova. Oggi ho il piacere di rilanciare quest’annuncio, alla luce dei risultati ottenuti dal team qui impiegato sotto la direzione del prof. Cristiano Nicosia e della soprintendente archeologa Paola Salzani.

L’area delle Valli di Fimon ha ancora tanto da dire di sé, come dimostra quest’ultima ricerca condotta a ben 50 anni di distanza dagli scavi di Broglio e Barfield (1969-72): è bene perciò che si continuino a tenere i riflettori puntati su questo territorio, che in futuro potrà rivelarci nuove chiavi d’interpretazione delle culture qui avvicendatesi nel passato”.

Lo scavo

Dopo circa 150 anni dal primo scavo effettuato nell’area, emergeva la necessità di una mappatura completa dei siti di rilievo archeologico della zona del Lago di Fimon, sia al fine di dare uno strumento di orientamento ai futuri archeologi, sia con lo scopo di permettere all’amministrazione comunale di conoscere quali fossero i luoghi da tutelare nel territorio, per evitare che fossero danneggiati o resi inaccessibili dalla costruzione di nuove infrastrutture.

Proprio per questo si aprì la campagna d’indagine del 2008, che coprì una superficie totale di 70 ettari situata a nord del lago, con l’obiettivo di rilevare e georeferenziare i siti archeologici qui presenti: ciò si è fatto tramite carotaggi multipli effettuati a intervalli regolari dai geologi (Mirco De Stefani e Stefano Bertola), con carote della profondità di circa 2m che arrivavano fino al limo lacustre antico.

In alcuni punti, la stratigrafia non era stata intaccata dagli scavi della torba; in altri, invece, era stata rimescolata. Grazie a questa griglia di carotaggi e ai ritrovamenti di superficie, si sono individuati i siti più promettenti da indagare ulteriormente, come i siti neolitici antichi in località Pianezze, i più recenti della località Le Fratte, siti dell’età del Bronzo antico, medio-recente  e del Bronzo finale.

L’area di Molino Casarotto, in questo caso, non rientrava negli interessi del progetto, dal momento che si trattava di sito già tutelato da provvedimenti di tipo amministrativo. Quello che risultava fondamentale era dare delle nuove indicazioni sulle aree da preservare perché d’interesse archeologico.

La cronologia

I rilievi effettuati abbracciano principalmente l’arco cronologico che va dal V agli inizi del III millennio a.C., in cui s’incasella l’esistenza delle popolazioni della Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata. L’Età del Rame è rimasta poco rappresentata rispetto al Neolitico e alla seguente Età del Bronzo (Bronzo Antico per il Pascolone, Bronzo Medio-Recente per fondo Tomellero, Bronzo Finale per Capitello).

Man mano che il tempo passava, il bacino lacustre si restringeva, mostrando un avvicinarsi progressivo all’acqua delle popolazioni qui stanziate, con strutture d’insediamento di tipo palafitticolo modestamente elevate.

Arcugnano - Elodia Bianchin Citton - MNAV
A sinistra, la conservatrice del Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza, dott.ssa Viviana Frisone. A destra, la relatrice dott.ssa Elodia Bianchin Citton

Il mappale 151

Conservato dal punto di vista dell’estrazione della torba, il luogo di scavo prescelto consentiva di indagare un periodo cronologico (risultato poi corrispondere al Tardo Neolitico) meno noto rispetto agli altri. Nel corso della campagna si è rintracciato il limitare di un abitato delimitato da una recinzione a palizzata, apparentemente manutenuta con interventi più esigui, con l’utilizzo di legni diversi e meno impegnativi da gestire; nei depositi archeologici non asportati insieme alla torba si sono trovati resti di antichi focolari comunitari con cupole in limo scottato e sottofondo di pietre calcaree dei Berici, probabili luoghi di cottura della ceramica protetti da tettoie.

L’area specializzata si giustificava per la necessità di allontanare il luogo d’utilizzo del fuoco dal centro dell’abitato, costituito da dimore in legno e paglia. L’analisi di questo sito ha consentito agli archeologi di comprendere come il villaggio fosse posizionato su livelli di torba già essiccata, asciutta; di rilevare come avvenissero scambi anche con le popolazioni degli Euganei, testimoniati dalle macine in trachite ritrovate nello scavo. Ma, soprattutto, ha consentito di esaminare reperti la cui conservazione è rara: reperti organici, cioè, che ci restituiscono un’immagine unica nel suo genere dell’ambiente antropizzato da questi epigoni della Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata.

Vasi a bocca quadrata

Per la prima volta, è stato possibile utilizzare gli strumenti della paleobotanica per analizzare i ritrovamenti vegetali, campionando le essenze, analizzandole dal punto di vista della dendrocronologia e datandole con il metodo del  radiocarbonio, operazione fondamentale per raggruppare i pali a seconda del periodo d’uso. Ad esempio: la palizzata di confine è stata costruita in una sola volta, con legno di quercia e ontano, per poi essere riparata e rinforzata da legni di pruno e nocciolo. I pali erano appuntiti, scortecciati ma non induriti dal fuoco; quelli di minor circonferenza sono stati utilizzati in un secondo momento, quando il villaggio tendeva già all’abbandono.

Il legno prelevato era probabilmente indice dell’apertura di radure per la coltivazione intorno all’abitato e al disboscamento sui pendii dei Colli Berici, da dove veniva anche la selce. Dal lago, invece, ci si approvvigionava di pescato e uccellagione, pur non essendo ciò testimoniato da ritrovamenti effettivi (anche in considerazione della fragilità delle ossa dei volatili e delle lische di pesce).

I resti paleobotanici

Da ultimo, la dottoressa Elodia Bianchin Citton segnala la rilevanza dei resti paleobotanici ritrovati nell’area di scavo, che ha fatto emergere come le popolazioni qui stanziate gettassero direttamente nel fuoco paglia, sterco animale e resti dell’alimentazione, a testimonianza del fatto che l’area era accuratamente pulita e organizzata.

I coproliti (fossili di deiezioni) hanno permesso di ricostruire numerose sequenze polliniche, dalle quali si è analizzata l’alimentazione degli animali dell’epoca e di conseguenza la tipologia  delle coltivazioni locali: queste ultime erano composte di orzo, farro, frumento e altri cereali, nonché da  leguminose. Gli animali allevati erano invece capre, pecore, buoi per lavorare i campi, forse maiali; prede di caccia erano cervi e cinghiali.


Il libro “Nuove ricerche nelle Valli di Fimon” illustra con dovizia di particolari tutto questo, restituendo al pubblico un’immagine della vita tardo-neolitica delle popolazioni che, circa seimila anni fa, abitarono l’ambiente che oggi ammiriamo da turisti, più o meno consapevoli del passato di queste Valli.

 

Le immagini di copertina e interne al testo sono state scattate dall’autrice, ad eccezione dell’immagine dei vasi per cui si ringrazia l’archivio del MNAV. Le fotografie del lago sono state realizzate nel corso dell’escursione didattica organizzata da Scatola Cultura il 23/10/2022.