Se durante l’inverno il fascino della montagna si ammanta di neve, invitando a calzare gli scarponi da sci per affrontare le piste imbiancate, dal primo di giugno al 30 di settembre le attività d’altura comprendono anche passatempi culturali, legati alla visita dei numerosi musei ospitati in quota dalle nostre montagne.
Per raggiungere queste oasi di storia è sempre possibile scegliere di affrontare a piedi un percorso naturalistico segnalato, godendosi il panorama e la fatica prima di riposarsi a destinazione, oppure arrivare con un mezzo motorizzato a pochi passi di distanza dalla meta. Per raggiungere il MMM Dolomites, protagonista dell’articolo di quest’oggi, è disponibile una navetta di trasporto che, da Passo Cibiana, in una ventina di minuti permette di arrivare direttamente in vista del Forte dov’è ubicato il museo.
Una costellazione di musei
Nato nel 2002, il Dolomites è uno dei sei musei che testimoniano le diverse sfaccettature del rapporto tra l’uomo e la montagna, attraverso la meraviglia, lo stupore, il rispetto e la giusta reverenza verso vette tanto affascinanti quanto potenzialmente ostili e pericolose per scalatori e turisti. La sua sede, ricavata dopo un restauro conservativo da un forte della Grande Guerra, ha una posizione d’eccezione nel cuore delle Dolomiti, dichiarate Patrimonio dell’Umanità il 26 giugno del 2009: dal Monte Rite, infatti, si possono ammirare le cime dell’Antelao, del Pelmo, della Marmolada, dell’Agnèr, grazie ad una vista a 360° che in nessun altro luogo si può godere.
Entriamo dunque nel vivo della visita, per cui è disponibile un’audioguida interattiva liberamente scaricabile da PlayStore cercando l’app “Locandy”.
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L’itinerario museale
I primi reperti che il visitatore incontra hanno a che fare con la geologia delle Dolomiti, con i ritrovamenti fossili che caratterizzano marcatamente questo mondo verticale nato dall’acqua. Come tutte le Alpi, infatti, anche le Dolomiti sono sorte dal mare, portando con sé la traccia del loro antichissimo passato corallino, lontano milioni di anni da noi e allo stesso tempo vicino tanto da poterlo toccare.
Alle pareti della galleria espositiva fanno capolino quadri che raffigurano la bellezza delle Dolomiti, con tratti dalla personalità diversa e cangiante così come il soggetto da essi rappresentato: tra il Sette e l’Ottocento, le montagne assumono un valore simbolico che richiama il sublime tanto quanto il mare in tempesta, esprimendo la magnificenza della Natura e richiamando l’interesse della gente.
Vengono così dipinte le Tre Cime di Lavaredo e altri scorci dalla potenza che parla da sé, lampante e chiara anche in una tersa giornata estiva.
La metamorfosi dell’impossibile
L’idea romantica della scalata impervia, degli orizzonti inaccessibili e degli ostacoli al di là della portata umana si trasforma con il tempo in una corsa alla conquista segnata dal positivismo, dall’avvento di nuove tecnologie che rivoluzionano l’approccio alla roccia, alla salita. Agli inizi del Novecento prevale l’approccio eroico alla scalata, che si esemplifica nella cosiddetta “battaglia del Sesto Grado”: questo nome deriva dall’ultimo livello della scala di difficoltà d’arrampicata ideata da Willo Welzenbach, che non prevedeva gradi di difficoltà oltre al sesto.
Ad oggi, l’alpinismo è considerato un bene immateriale dell’umanità, un patrimonio intangibile aperto ad una connotazione sportiva e all’approccio amatoriale: con questo spirito milioni di turisti si rivolgono alla montagna per respirarne l’aria, assaporarne i colori e – perché no – per imparare a conoscerla, anche grazie a luoghi didattici come il Messner Mountain Museum.
Immagini a cura di Chiara Tomasella